di Federica Mentasti.
Un design che sappia riflettere le componenti culturali, umane e produttive del territorio che lo produce: questa la filosofia del designer Emmanuel Babled. Dal 1992 dirige il proprio studio e nel corso degli anni si è spostato da Milano ad Amsterdam per approdare infine a Lisbona nel 2016. Mantenendo sempre un rapporto speciale con l’Italia.
“Il 90% della mia produzione è realizzata lì, nei vari distretti che frequento: dal Veneto alla Sicilia, dalla Brianza alla Toscana” spiega Emmanuel.
Tavolo Etnastone. Serie limitata realizzata nel 2015 a partire con pietra vulcanica dell’Etna.
La globalizzazione ha appiattito molto il mondo del design e c’è una forte tendenza a standardizzare e omologare i prodotti. Emmanuel invece preferisce sfruttare il contatto con culture diverse come un’opportunità per riscoprire le specificità dei luoghi, dei loro materiali e delle loro tradizioni artigianali: dal rattan dell’isola di Java, alla tappezzeria Nepalese, passando per i marmi di Carrara, i vetri di Murano e la ceramica portoghese.
Prende qualcosa da ogni cultura e la usa come punto di partenza per una produzione propria. La collaborazione con gli artigiani diventa il fulcro di un design che si oppone radicalmente al modello consumistico delle grandi produzioni: è una ricerca artistica, che privilegia i pezzi unici o le piccole serie in modo che ogni oggetto raccolga in sé una storia e una personalità uniche.
Accanto all’artigianato, Emmanuel accoglie anche le innovazioni più recenti, in un approccio ibrido che vede nella tecnologia uno strumento in grado di amplificare le possibilità dell’artigianato tradizionale.
Ci siamo fatti raccontare nel dettaglio il particolare approccio di Emmanuel così come i cambiamenti portati nella sua professione dall’emergenza sanitaria.
La realizzazione del tavolino da soggiorno Quark in diversi materiali: legno, marmo, rame e bronzo.
Cosa ti è rimasto delle tue esperienze nei diversi paesi dove hai vissuto? Come hanno influenzato il tuo approccio al design?
Dell’Italia mi è rimasto molto. È un sistema di piccole e medie imprese, molto specializzate. Ci sono i grandi savoir-faire manuali e conoscenze tacite, come ad esempio quelle dei mastri vetrai; ma anche capacità produttive sofisticate e tecnologie sempre in evoluzione.
Dell’Olanda mi sono rimaste soprattutto le esperienze alla Design Academy di Eindhoven, dove ho insegnato per molti anni. C’è stata una corrente che ha costretto il bel design italiano a rivedere i propri paradigmi, invitando tutta una nuova generazione di designer a riesaminare gli obbiettivi profondi del proprio lavoro.
Il Portogallo forse è un po’ la conseguenza di queste esperienze passate: un paese non industriale ma artigiano. Un ritorno all’essenziale, alla dimensione umana del prodotto e a un modo di vivere rilassato e meno orientato al consumo.
Vaso ‘Pyros’. Schizzi preparatori e prodotto finito.
Come interpreti il rapporto tra designer e artigiano nel tuo lavoro?
È un rapporto uomo a uomo; con una differenza nei ruoli ma fatto di rispetto e interdipendenza. Come l’amicizia. L’artigiano esiste anche senza il designer; ha le sue mani, nessuno gliele può togliere. Un designer invece ha bisogno di queste mani e del coraggio delle proprie idee per rendere una collaborazione davvero unica.
È un lavoro lungo e a volte difficile; come anche coltivare un’amicizia.
Tavolino Quark. Variante realizzata in marmo di Carrara.
Invece come pensi che la tecnologia possa venire incontro alle esigenze dei designer?
Naturalmente la tecnologia è presente ovunque ed è utile e inarrestabile. Non sostituisce il volere né il pensiero del designer, ma non è assolutamente da denigrare perché contribuisce al nostro sviluppo e alla nostra efficienza. Anche nel caso degli artigiani rappresenta uno strumento sofisticato. Lo dimostrano gli incredibili sviluppi di alcune imprese di Carrara, che scolpiscono il marmo con robot e software. In questo caso, la tecnologia non sostituisce il ruolo dello scultore ma lo rende più veloce e preciso, capace di dialogare con il designer nel realizzare la forma.
Però l’oggetto è pensato, fatto e finito dalla mente dell’artigiano. È lui che conosce la materia mentre la tecnologia lo asseconda nel manipolarla…
Carrara: artigiani al lavoro sul tavolino Quark.
Come la pandemia ha cambiato il tuo modo di lavorare?
È stata un’esperienza drammatica sotto certi versi ma anche interessantissima perché ci ha proiettato in un’ipotetica era completamente digitale. Questo isolamento forzato e l’uso massiccio del digitale per relazionarci con il mondo ci ha aperto gli occhi.
Grazie alla tecnologia la distanza fisica si è rivelata non essere più così problematica e anzi ci ha fatto riapprezzare la nostra autonomia.
Ma abbiamo anche percepito che non sostituirà mai la necessità dell’incontro, il gesto della mano che disegna, gli sguardi che si incrociano. L’era digitale ci può aiutare a ridurre la frenesia della nostra vita, dandoci più tempo per noi stessi.
Ricordo però che lavorando con artigiani, il lavoro della mano e della materia necessita di una commistione vera e fisica sul luogo dell’opera e questo è insostituibile. Il mondo si capisce con il corpo, con il viaggio e con l’incontro, non attraverso uno schermo.
Che cambiamenti ti aspetti nel mondo del design nel lungo termine?
Nel lungo termine credo che questo momento di isolamento ci abbia dato il tempo di riflettere sulla nostra relazione con il mondo, sui nostri desideri, sulla consapevolezza del nostro impatto sul pianeta… Quindi credo che abbia avuto un’influenza positiva sul nostro modo di consumare e ci abbia permesso di apprezzare le cose più significative.
Il design dovrà per forza integrare questi nuovi valori per poter ritrovare vita in un mondo sempre più dematerializzato. Forse, non lo so. Ma sono nato ottimista.
Emmanuel Babled al lavoro coi mastri vetrai di Murano nella realizzazione di Pyros.