di Sara Gecchelin.
In scena dall’8 al 12 ottobre a Napoli, una mostra ha riunito arte e design per celebrare la bellezza della libertà oltre l’appartenenza. Con dodici voci diverse, che testimoniano un’anima comune, quella mediterranea: una lingua unica fatta di luce, memoria, intrecci e contaminazioni.
‘O sciore cchiù felice (è o sciore senza radice). Nasce da questo titolo musicale l’esposizione collettiva che è stata ospitata nel quartiere Chiaia di Napoli da Paolo Maria Russo Interior Design Studio, ispirandosi al brano trentennale del gruppo partenopeo degli Almamegretta. La mostra, curata da Paolo Casicci, ha incarnato un manifesto corale: più creazioni di artisti e designer hanno formato un racconto unico, testimonianza d’incontro e bellezza del linguaggio che unisce popoli e terre affacciati sui nostri mari. Proprio come in una composizione di differenti fiori recisi, le opere esposte non avevano più radici singole, ma si intrecciavano in un insieme armonioso di tradizioni, tecniche, materie e significati.

L’allestimento di Roberta Borrelli @makeyourhome, ha trasformato lo spazio al 21 di via Giacomo Piscicelli, in un accogliente “contenitore” di idee e culture, portando il visitatore a percorrere un viaggio nei colori, nei rituali e nell’anima mediterranea interpretata da 12 artisti e designer e dalle loro manifatture.
Una ceramica, un tappeto tessuto a mano, un arredo in materiale riciclato o un vetro per la tavola non rappresentano solo materia plasmata. Ogni creazione, in questo contesto, portava in sé un significato profondo che rendeva ogni pezzo un messaggero. Gli oggetti selezionati diventavano così narratori di storie, emozioni, visioni e, anche se ciascuno esprimeva un pensiero autonomo, insieme suggerivano qualcosa di più grande: il valore della condivisione.

Il percorso tra le stanze era concepito seguendo tappe tematiche alla scoperta di una lingua comune, la koinè del Mare Nostrum. Si è partiti da un omaggio a Napoli, con Moka Ridens di Sandro Gorra, celebrazione ironica della caffettiera colma di caffè che sembra sorridere “a ottanta denti”.

Al piano superiore, lo sguardo veniva invece rapito dal mare attraverso il richiamo poetico del blu. Memorie di leggerezza e tragicità si intrecciano nel tappeto Decoro Mediterraneo di Eleonora Todde, che nasconde tra le fibre figure visibili solo accarezzando il tessuto; mentre come bizzarre creature dell’acqua facevano capolino le teste parlanti e i pesci dipinti a parete della ceramista e illustratrice romana Cecilia Valli.

Sinonimo di difesa delle acque marine dai rifiuti sono invece gli arredi in plastica riciclata, proveniente dal recupero delle reti da pesca dell’Egeo, dell’azienda greca Bluecycle, e le originalissime ceramiche di Onofrio Acone, che, con la tecnica del colombino, lavora l’argilla dando vita a moderne anfore dal sapore antico e dalle forme volutamente irregolari.

All’ingresso, dedicati invece al legame con la terra, erano esposti arredi e oggetti di design insieme a pezzi d’arte: la madia di alta manifattura Basalto, firmata da Accardi Buccheri per Medulum, si accostava agli Iron distancing di Alessandra Pasqua, due sculture in metallo da indossare che invitano a scoprire la dialettica quotidiana di libertà e costrizione. Nello stesso ambiente, il centrotavola di Marco Guazzini in marwoolus, materiale sperimentale che unisce scarti di marmo e dell’industria tessile dialogava con i dipinti a tecnica mista di Arianna Bonamore, un barocco caleidoscopico che racconta la danza infinita dei quattro elementi.

In una seconda stanza si raccoglievano le contaminazioni stilistiche tra epoche storiche, con l’arazzo Borromini di Effimero Barocco, brand che rilegge in mood contemporaneo i motivi decorativi delle feste e degli apparati scenici della Roma seicentesca, e il Doge di Gaetano Di Gregorio, incrocio allegorico di testa di moro e figura veneziana.

Un’ultima tappa nello spazio outdoor dello Studio svelava, infine, le ceramiche ancestrali di Patrizia Italiano, creature dall’anima ironica e dialogante, spiriti che portano carisma in casa, accostati allo specchio-non-specchio Gengè di Matteo Vilardo per Medulum e al progetto di Tarocchi per la tavola firmato da Paolo Maria Russo e Vetrofuso.

La mostra è diventata così il pretesto per un esercizio di apertura mentale e arricchimento delle coscienze. Costruita scegliendo oggetti che non impongono, ma propongono un dialogo silenzioso, ha invitato il visitatore a riflettere su quanto la diversità – di forme, materiali, culture – può essere fertile terreno per la comprensione reciproca e base per la crescita della creatività di ogni artista e designer.

Condividere non significa perdere identità, ma moltiplicare significati sia personali che professionali. In questo spazio napoletano, il Mediterraneo non è stato considerato solo un luogo geografico, ma un simbolo di incontro: tra tradizione e innovazione, tra artigianato e design, tra memoria e futuro.
Photo © Massimiliano Tuveri






















