tavolini contenitori design

Alla scoperta del design di Sara Ferrari

di Sebastiano Tonelli.

Ai tempi del distanziamento sociale abbiamo intervistato telefonicamente Sara Ferrari, designer poliedrica che parallelamente alla progettazione di prodotto insegna in diverse realtà universitarie e svolge con dedizione workshops in collaborazione con aziende in Italia e all’estero.

Durante la quarantena le chat, mail e videochiamate ci hanno fatto scoprire i grandi vantaggi connessi all’uso di tecnologie digitali, ma quanto manca il contatto fisico e il rapporto umano nel tuo lavoro?

Sono abbastanza abituata alla modalità a “distanza”. Mi sposto molto spesso per lavoro a lungo o breve termine e mantenere i rapporti con l’Italia è sempre stato indispensabile e inevitabile. Durante le mie esperienze in Olanda e in Colombia non ho mai smesso di collaborare con i miei clienti italiani, il vantaggio del farlo anche qui è il non avere il fuso orario. Sono sempre stata una forte sostenitrice dello smart working ma nel nostro Paese non si è mai fatto davvero, speriamo che questa esperienza sia la prova che funziona.

Ciò che mi manca è il lato umano e di relazioni che si instaurano sia con gli studenti sia con gli artigiani. Ci sono cose che vanno proprio fatte insieme, come uno schizzo fatto al volo per spiegarsi meglio o il cercare di trovare delle soluzioni condivise. In una video call devi concentrare tutto in pochi minuti mentre se si ha la possibilità di stare insieme, classe o laboratorio che sia, si intervallano momenti in cui si ragiona da soli a quelli in cui ci si rincontra e si condivide ancora, magari davanti a un caffè o facendo due passi. Questo da remoto è ovviamente impossibile.

Sara Ferrari
ritratto sara ferrari
Purtroppo il Salone del Mobile è stato posticipato all’anno prossimo, avevi dei progetti pronti per la presentazione al pubblico?

Non mi dispiace che il Salone sia stato rimandato, chiaramente sono consapevole del danno economico subìto dalle aziende ed è un problema immenso che non voglio assolutamente sottovalutare. Dall’ottica di designer credo e spero che quest’obbligo a fermarsi sia un’occasione per pensare e capire quale valore dare a quella che, alla fine, è una fiera del mobile ma ultimamente diventata un insieme di eventi neanche troppo legati al mondo del design dell’arredo.

Credo ci fossero troppi sentimenti di sfida e arrivismo fini a se stessi, un forte senso di doverci essere per forza per non sentirsi sbagliati, e questo vale per aziende e designer. Trattandosi di un evento a scadenza annuale non c’era nemmeno il tempo per pensare davvero a un progetto come si deve.

Il design non si limita al mobile e come professionisti si può lavorare e dare un contributo vero anche senza essere necessariamente presenti al Salone, soprattutto per come è diventato oggi. C’è senz’altro bisogno di fare un po’ di ordine e anche a me è servito “staccare” per capirlo davvero. Mi è capitato di non poter essere presente per due volte, la prima a causa di un problema personale e la seconda perché in trasferta a Bogotà come Visiting Professor all’Università di Los Andes. Quando ti capita di non partecipare, né di persona né con dei progetti, ti accorgi che in realtà non succede nulla mentre ci sono tante altre aziende al di fuori del circuito del Salone che hanno forse più bisogno di designer rispetto a quelle del settore.

Mi sono accorta che mancava lo spazio per proporre qualcosa di veramente diverso, l’importante era esserci ma il come non veniva quasi più considerato. Anche per questi motivi da qualche tempo ho preferito allontanarmi un po’ da questa realtà e dedicarmi al disegno di “oggetti” che appartengono a mondi diversi ma altrettanto importanti. In riferimento alla domanda iniziale la la mia risposta è negativa, non avevo nessun progetto da presentare in fiera e spero che questo stop forzato possa dar vita a cambiamenti in un settore che ne ha tanto bisogno.

Passioni e passatempi in quarantena a computer spento?

Mi sto dedicando alla stesura di un libro sull’uso della consapevolezza come strumento chiave per l’innovazione nell’ambito del design degli oggetti. Un libro iniziato prima della diffusione del virus ma l’arrivo del lockdown è stato un pretesto per dedicarci davvero del tempo, vista la “forzata” presa di coscienza del periodo. L’ho visto come un segno.

Leggo molto, pratico la mindfulness, sperimento nuove ricette in cucina, (quelle con un po meno di consapevolezza) e soprattutto mi dedico al progetto più importante del momento, un progetto di vita nel vero senso della parola, sono alla 34ma settimana di gravidanza e agli inizi di giugno diventerò mamma.

Un “progetto” così incredibile non capita spesso e avevo già deciso di dedicarci il più tempo possibile, mi spiace solo di doverla vivere in casa e non poter godere la natura che mi circonda.

Lampada Libra, Way point
lampada sospesa libra
Oltre al lavoro di progettista insegni in università italiane e internazionali, un consiglio che dai agli studenti? Quale tipo di direzione dovrebbero intraprendere in un mondo del progetto in continua evoluzione?

È una domanda che mi pongono spesso anche i miei studenti alla quale solitamente rispondo che definire la direzione da prendere sarà uno dei loro progetti più importanti, forse il più difficile. Non devono aspettarsi una strada spianata, ne tanto meno sperare di sentirsi bussare alla porta.

Non succederà. Il design è evoluzione, è innovazione, è movimento, così come la creatività. Un suggerimento è quello di agire sempre in piena consapevolezza per il bene delle persone e del pianeta. Di non ambire alla fama, al diventare dei designer famosi ma di prendersi delle responsabilità e rendersi conto di averne, perché la forma del loro futuro sta nelle loro mani più di quanto credono.

Tieni molti workshop in collaborazione con varie aziende, in cosa si discosta questa tipologia di progetto svolta in tempi ridotti rispetto a una tempistica più dilatata? Come si pongono le aziende? C’è davvero la volontà di sviluppare i risultati e di proseguire con una futura collaborazione professionale?

Che si tratti di un laboratorio intenso di una settimana o una collaborazione inserita in un calendario didattico semestrale cambia poco perché il processo è lo stesso, solamente più “compresso”. Ciò che cambia è quanto si può scendere nel dettaglio del progetto pur sapendo che le idee possono nascere in un attimo e ci dedichiamo più tempo semplicemente quando sappiamo di averne.

Può capitare che una full-immersion di una o due settimane porti a risultati migliori rispetto a un workshop spalmato su un semestre, in cui gli studenti devono impegnarsi contemporaneamente su progetti di altri corsi. In tempi ristretti se si lavora duramente si possono sviluppare anche dei prototipi, come è avvenuto nel workshop tenuto a Bogotà in collaborazione con Agape Bathrooms e Cristalplant in cui i ragazzi ne hanno realizzati in scala 1:1.

A Beirut, invece, nel laboratorio di una settimana con Tubes Radiatori i progetti sono stati presentati sotto forma di rendering ma con tutto il potenziale per diventare oggetti veri. Questo per me è indispensabile: durante i laboratori è come se si lavorasse nel mio studio ma con un team allargato e pretendo che le proposte siano professionali, sempre nel limite del possibile visto che stiamo parlando di studenti. È importante che i ragazzi abbiano l’impressione di vivere un’esperienza il più possibile vicina alla realtà del lavoro e che capiscano l’importanza di un’opportunità che non possono lasciarsi scappare.

Le aziende sono sempre molto positive di fronte a collaborazioni con le università e se riconoscono delle idee valide sono più che felici di portarle avanti e addirittura metterle in produzione. È successo con Alessi, che ha prodotto un progetto sviluppato in un workshop in Olanda all’Università Tecnica di Delft (TU DELFT), con alcuni progetti nati nel workshop con Chicco organizzato direttamente da me e sta succedendo (dita incrociate) sia con due progetti sviluppati in Colombia con l’azienda Mepra sia con il progetto nato in un semestre a Bogotà in collaborazione con Agape Bathrooms e Cristaplant.

Passeggino Stylego, Chicco
passeggino chicco blu
Fra i tuoi progetti ci sono un passeggino, una stufa a pellet e un condizionatore, oggetti a prima vista “anomali” in un portfolio di un designer ma effettivamente molto più industriali e legati alla vita della gente. Raccontaci le difficoltà che hai incontrato nel progettarli e le soddisfazioni ottenute.

Non credo siano anomali, tutti gli oggetti sono degni e bisognosi di essere disegnati. Mi torna in mente la domanda relativa al Salone del Mobile, in effetti questi non sono oggetti “da Salone” ma ti assicuro che mi hanno dato molta più soddisfazione di altri e hanno avuto molto successo: con la stufa e il condizionatore ho vinto un Red Dot Design Award e due Good Design award.

Condivido il fatto di considerarli prodotti che arrivano davvero alle persone e non si limitano a un prototipo pubblicato su mille riviste ma mai entrato in produzione, perché anche questo succede nel mondo del mobile. Il progetto più difficile è stato il passeggino, sia a livello industriale (non avevo idea della quantità di componenti di un oggetto simile) sia a livello di innovazione, in quanto il brief molto dettagliato lasciava poco spazio ad una mia interpretazione.

Ho dovuto giocarmela sui dettagli e sul valore del passeggino per il genitore, soprattutto per la mamma. Seppur disegnati per la stessa azienda, il climatizzatore e la stufa sono due progetti molto diversi: il primo è un re-design di UNICO, prodotto esistente già famoso per non avere l’unità esterna mente con la stufa, nonostante possa sembrare un semplice progetto di stile, ho apportato un vero cambio di significato riportando nelle case l’idea del focolare domestico.

Sono riuscita a trovare un modo di riavvicinare le persone a un oggetto che solitamente si vuole solo nascondere perché non dà spazio all’interazione, soprattutto nei mesi estivi, ma che per ovvi motivi nascondere non è possibile. E’ senza dubbio uno dei progetti di cui vado più fiera e che ha avuto e sta avendo molto successo.

Stufa MIA, Olimpia Splendid
stufa pellet arancione

Condizionatore Unico Air, Olimpia Splendid
condizionatore parete cucina
Nel tuo calendario .dot. attraverso l’unione dei puntini si rivelano alcune icone del mondo del design, come la lampada Tizio o lo spremiagrumi di Alessi. Come ti poni nei confronti dei Maestri? Rimangono un punto saldo o ritieni necessario “scrollarci un po’ di dosso” la loro eredità fortemente radicata?

Penso che i maestri prima di essere designer o architetti fossero esseri umani con una forte vena creativa. Non direi che bisogna scrollarseli di dosso, anzi, studiare il loro lavoro è essenziale per farsi un’idea dell’evoluzione del design ma ritengo non debbano diventare un riferimento a livello di esempio da seguire.

Le loro idee e progetti avevano un senso ben preciso per il periodo storico in cui sono stati pensati e realizzati. Oggi gli stessi progetti non avrebbero né lo stesso significato né lo stesso successo perché il senso delle idee cambia tanto in base al tempo in cui vengono generate.

Calendario .DOT by Sara Ferrari
calendario sara ferrari

calendario puntini

Nell’immagine di copertina, tavolini contenitori TEA, Durame

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