Progettare la cucina di una casa è un lavoro delicato e non si possono permettere errori. È, infatti, uno degli ambienti più utilizzati e, spesso, grazie alle attuali soluzioni abitative, è a diretto contatto con il living o addirittura integrato al suo interno.
Quindi non esiste un vero e proprio standard che si occupi in maniera “meccanica” della progettazione di questo ambiente della casa, bisogna sempre considerare lo spazio a disposizione, rispettando la funzionalità delle aree di lavoro. Insomma, serve un professionista per non commettere errori grossolani che porterebbero al fallimento del progetto.
Ed è qui che entra in scena la kitchen designer, in questo caso Marta Antonini, originaria di Treviso, ma londinese di adozione, a cui abbiamo chiesto delucidazioni in merito al progetto di sviluppo di una cucina. Prima però, vorremmo sapere: come sei arrivata a disegnare cucine, è stata una scelta precisa oppure ci sei finita per caso?
Fin da piccola volevo fare quello che in Italia all’epoca si chiamava arredatrice, ma si trattava, allora, di una professione non riconosciuta e funzionava sul “passaparola” e chi la esercitava era tipo l’amica ricca che aveva buon gusto nell’arredare. Dopo la maturità, da geometra, il normale proseguimento sarebbe stata la facoltà di Architettura e, a seguire, un master.
Purtroppo, la mia famiglia, complice mio fratello ingegnere informatico, riuscirono a dissuadermi e, in poche parole, trascorsi due anni tra catasto, topografia e rilievi nelle campagne trevigiane mentre, allo stesso tempo, decisi di frequentare un corso di interior. Al termine del biennio trovai impiego presso una falegnameria dove imparai tutto quello che c’è da sapere sul legno, dalla tecnica del legno alla gestione aziendale.
Fu una grande opportunità, avevo solo 22 anni. L’azienda si occupava di arredamenti su misura, soggiorni, armadi, letti, e soprattutto cucine. Restai con loro per 11 anni, dopodiché, entrai in un’altra azienda che lavorava nel contract, e di cui ero assolutamente neofita. Mi ricordo ancora le parole del titolare “signorina lei è abituata a guardare i millimetri, qui si guarda avanti, senza essere troppo essere precisi come lei” e lì capii il valore di cosa avevo imparato e cosa potevo fare.
Una bella esperienza, che durò paio d’anni circa, nel corso dei quali (e ne sono orgogliosa) mi occupai dell’arredo di un albergo a Casablanca, e senza commettere errori pur non essendo mai stata sul posto. Ma la mia passione, nel tempo, si è concentrata sulla progettazione di cucine perchè le ritengo il fulcro della casa, specie per noi italiani. E quando ho capito questo, la mia strada si è fatta sempre più chiara.
Da cosa parti per progettare una cucina? Da un’idea, un’esigenza, un’intuizione, il tipo di materiale?
Quando incontro per la prima volta un cliente, per prima cosa, spiego la filosofia aziendale, cerco inizialmente di farlo “emozionare ” in modo che lui stesso immagini la cucina a casa sua. Poi faccio molte domande sul numero di componenti della famiglia, chi cucina, se a loro piace cucinare, se hanno piacere di ricevere persone e con che frequenza, in modo da comprendere meglio le loro esigenze e poterle soddisfare al meglio. Spesso mi capita, già nel corso del meeting, che abbozzi una sorta di layout da sviluppare. Le finiture poi vengono da sé, una volta che il progetto diventa definitivo.
Qual è l’elemento o la parte più difficile da progettare in una cucina? E il più semplice?
Non credo ci siano elementi più o meno difficili o facili. Spesso è questione di ispirazione, a volte di empatia con il cliente. L’ispirazione non sempre arriva nel momento in cui ne hai bisogno, lascio semplicemente sedimentare il progetto facendo altro per poi riprenderlo in qualunque momento, anche di notte.
Naturalmente, per me, è più semplice progettare per clienti che hanno già le idee chiare, piuttosto che dover interpretare alla lettera le loro richieste. Ci sono persone che sono indecise per natura, figuriamoci come possano affrontare un progetto complesso come una cucina.
Gli elettrodomestici sono parte integrante della tua progettazione, come vengono inseriti nel progetto? Sei tu che scegli o il cliente?
In genere la scelta viene fatta a monte. Sono però una grande fan di Gaggenau, personalmente la trovo all’avanguardia come tecnologia e design, quindi mi viene naturale proporla. Chiaro che, come per la progettazione delle furniture, è importante capire di che cosa realmente il cliente ha bisogno.
Per essere perfetta una cucina, secondo te, come deve essere?
Good question! Rispondo come se stessi immaginando la cucina dei miei sogni: un ambiente grande, con vetrate luminose ed immense che si affacciano sul giardino. Un’ isola centrale con le sedute per la prima colazione e pasti veloci, ma comoda per due chiacchiere tra amici mentre si cucina. Un grande piano cottura con fuochi, teppan Yaki e cuocipasta, forno professionale vapore e multifunzione.
Grande frigorifero e freezer, cantina vini, abbattitore e sottovuoto assolutamente. E poi, ancora, una dispensa con qualsiasi tipo di accessorio “salva spazio” possibile, ed io in questo mi diverto un sacco nella progettazione. Mi piace cucinare e adoro il cibo, quindi la mia cucina ideale dovrebbe essere al top di qualsiasi mia progettazione. Anche se, si sa, il calzolaio va in giro con le scarpe rotte..
Qual è la cucina che ancora non sei riuscita a progettare?
Se la domanda si riferisce al tipo di clientela, in Italia ho sempre lavorato per persone facoltose, quindi senza problemi di budget. Qui a Londra però è tutto diverso. Prima che entrassi in Officine Gullo, l’azienda che rappresento oggi, e che ha realizzato la cucina per David e Victoria Bechham, pensavo fossero loro la tipologia top di cliente, invece mi sono ricreduta velocemente. Oggi infatti sto progettando per cliente ben più noto e influente di cui non posso rivelare il nome.
Se invece la domanda si riferisce al tipo di progetto, beh, qui a Londra ho realizzato molto sogni di cucine “ideali” proprio per la tipologia della nostra clientela. La cosa che più adoro di questa città è proprio l’opportunità di progettare qualcosa per persone che non avresti mai potuto approcciare in Italia. E’ una cosa favolosa.
A proposito, come mai Londra?
In verità, non ho mai cercato un’esperienza all’estero, ma è stata lei a cercarmi. Nel senso che avevo preso un periodo sabbatico per riprendermi da una serie di cose, poi un bel giorno, non lo dimenticherò mai quel 10 marzo 2015, ricevetti una telefonata con l’offerta di lavoro a Londra. Fu una cosa del tutto insospettata perchè in quel periodo dopo varie peripezie ero riuscita a trovare un equilibrio nella vita tra lavoro, casa e compagno dell’epoca.
Questa offerta mi destabilizzò completamente. Soprattutto perchè avevo 37 anni e l’età delle cavolate era passata già da tempo. Però decisi di partire, senza parlare una parola di inglese ma con un contratto di lavoro in tasca. E si parlava pur sempre di Fendi casa ambiente cucina.
Per ritornare alla domanda, comunque, la vita qui è dura, se non sai stare bene con te stesso non ce la fai. Soprattutto all’inizio. Per una questione di distanze ed impegni spesso è difficile incontrarsi, alcuni amici abitano ad un’ora di tube (come viene chiamata comunemente la metropolitana a Londra, ndr) da me, ed è lo stesso tempo tra Treviso e Verona per fare un confronto.
Quando poi riesci a trovare la tua dimensione, assapori questa città sotto altri punti vista. Anche solo perdendoti e scoprendo angoli dei quali non puoi non innamorarti. Senza contare la multiculturalità, ho amici indiani, ghaneani, nigeriani, coreani. Tutte persone eccezionali con le quali è bello scambiare esperienze e momenti folli. Senza contare che ho avuto il privilegio di essere in contatto con band e musicisti incredibili che prima vedevo solo su MTV e che sono più attenti al lato umano che a darsi delle arie.
Che altro aggiungere?
Mi fa un po’ sorridere quando mi si introduce come kitchen Designer ho amici che hanno studiato duramente e non riescono a trovare la loro strada quando invece io, una semplice geometra, che però ha fatto tanta tanta gavetta. E’ curioso no?
Devo ammettere che nella vita mi sono approcciata in vari campi del design, fin da quando avevo 19 anni, disegnando un anello che il mio ex pensò bene di realizzarlo da un orefice, lo porto ancora oggi e nonostante siano passati un sacco di anni, lo adoro ancora.
Anni fa, in preda ad un momento isterico, disegnai delle giacche in pelle ed un mio amico ne realizzò una che porto ancora oggi. Alcune delle mie passioni poi, sono il cartonaggio e il decupage, anni fa realizzai delle scatole personalizzate per uno stilista locale, il quale cercava un packaging per i suoi Kimono. Fu un’esperienza bellissima, creare qualcosa di unico e personalizzato.
Ma nonostante tutto non mi sento una designer. Perchè? A dire il vero, non lo so nemmeno io.
una sorridente Marta Antonini
Tutte le immagini sono di Officine Gullo – officinegullo.com