Chi è Giuseppe Maurizio Scutellà? Tre aggettivi per descrivere il tuo lavoro.
Il primo è sicuramente appassionato di ciò che faccio, considerando che sono un’autodidatta e non ho una formazione accademica (ammesso ne esista una valida per tutti). Ho studiato e mi sono documentato senza schemi precostituiti sulle diverse correnti storiche più significative ed eterogenee: dalla Bauhaus al design nordico, fino al design italiano che ha avuto uno splendido rinascimento culturale dal dopoguerra ad oggi.
Molte sono le figure che mi hanno sempre appassionato, come Gio Ponti, Joe Colombo, tutta l’opera illuminante di Bruno Munari (calorosamente consigliata ai giovani designer per l’approccio e la prospettiva progettuale ancora attualissima), i fratelli Castiglioni, Vico Magistretti e Angelo Mangiarotti che ho avuto la possibilità di conoscere personalmente.
Gae Aulenti in una sua affermazione sottolineò che la ricchezza del design Italiano di quel periodo, rispetto agli altri, fosse dovuta al fatto che i protagonisti fossero architetti o persone che partecipavano alla loro cultura e quindi più ricca ed ampia di contenuti.
Curioso. Il design per me non è solo una scienza applicata avulsa dal contesto culturale e sociale in cui si manifesta ma felicemente contaminato dall’arte in genere (scultura, fotografia, pittura, cinema). È un racconto vivo, ricco di significati e storia.
Tecnico, come la mia formazione scolastica e lavorativa iniziale (ho progettato stampi di pressofusione e plastica e sono stato ricerca e sviluppo in diverse realtà produttive per quasi trent’anni). Il mio approccio, a seguito delle diverse realtà con cui ho collaborato, mi ha fatto capire che la parte meno evidente svolta dagli uffici tecnici delle aziende ha spesso la stessa valenza della proposta dei designer veri e propri. All’epoca ero quello che traduceva su carta gli schizzi a volte improbabili di alcuni miei “colleghi”designer, poi lo sono diventato io stesso.
Non dico che un buon designer per essere tale debba avere necessariamente un know-how tecnico importante, anzi, se utilizzato in maniera pedissequa può rivelarsi un limite, ma spesso nella mia esperienza mi ha permesso di approfondire ed arricchire i progetti direttamente insieme alle aziende con cui ho avuto la fortuna di lavorare.
Set in plastica trasparente DE-Vine realizzata con Pandora design. Una reinterpretazione glamour in plastica high-tech della posata decorata ed elegante fatta in argento
I tuoi prodotti si basano su forme essenziali ed interventi formali minimi, qual è il tuo approccio di fronte ad un nuovo progetto?
Dipende dal progetto, dall’azienda e dal contesto. Non aderisco ad un disciplinare progettuale stabilito, non seguo un prontuario fisso. Cerco, come disse una volta Gae Aulenti, di pormi le domande giuste ed opportune: dalla qualità e a volte dall’irriverenza di quest’ultime spesso deriva il risultato delle mie proposte. Anche se fortemente sedotto dalla forma, quest’ultima deriva proprio da questo approccio, non adotto quindi uno “stile” predefinito ma rivendico la libertà di non averne uno anche se, chiaramente in parte, questo approccio è figlio di un sentire personale.
Pirce nata nel 2008 per Artemide è senza dubbio il progetto a cui devo di più, quello che mi ha fatto conoscere e dato la possibilità di intraprendere questo mestiere. Good design 2008, Red dot award 2009, IF Award 2010, divenuta seconda famiglia di progetto più venduta dopo Tolomeo nata 30 anni fa.
Hai disegnato prodotti per importanti nomi del design, cosa vuol dire lavorare con grandi aziende?
Una grande opportunità di crescita, di prestigio e di confronto ma al contempo una grande responsabilità. Lavorare con grandi aziende che hanno una rigida ed indispensabile logica industriale significa produrre un cospicuo lavoro di proposta e ricerca che magari non produce nulla nell’immediato e probabilmente mai lo produrrà nel futuro. Una grande scommessa alle volte vinta, alle volte no ma che va raccolta, soprattutto per un professionista che crede ed ama ciò che fa: seminare 1000 per raccogliere uno (vi assicuro non è uno slogan).
L’idea errata che un designer più o meno famoso venga scelto ed adottato ad oltranza da grandi aziende è vera in parte ed è destinata a breve durata se non si ottiene il risultato economico o mediatico richiesto. Penso che la sfida per un buon designer sia quella di portare la propria visione e non svolgere solo il compitino assegnato, tenendo sempre ben a mente che l’imprenditore non è un mecenate.
Il tuo lavoro deve produrre profitto per l’azienda che investe nella tua proposta, paga le spese degli investimenti necessari e le persone coinvolte su più livelli all’interno dell’azienda. Essere stato dipendente all’interno di realtà industriali prima ancora di essere un libero professionista mi rende molto sensibile sotto questo aspetto. Segue anche la consapevolezza che qualsiasi oggetto si produca ha un impatto sulla società, quindi il suffisso “industriale” dopo design non è solamente un vezzo frivolo ma prevede un’attenzione ed una responsabilità che non va mai persa di vista.
Lampada Pan per Artemide presentata come Concept al Light & Building di Francoforte nel 2016
Lampada Babilonia per Artemide presentata come Concept al Light & Building di Francoforte nel 2016.
Alcatraz piantana Led presentata da Artemide nel 2011
Linea Volo, linea tecnica con un tocco glamour ispirata alla forma del lingotto presentata con Formalighting all’ultima edizione del Light & Building di Francoforte
Ti occupi di progetti eterogenei, dall’illuminazione alla cucina passando per il bagno. C’è una distinzione fra questi diversi ambiti o il metodo che utilizzi è sempre il medesimo?
La mia chiave di lettura è sempre stata quella di appassionarsi al tema che ti viene sottoposto. Aver passione significa aver voglia di approfondire temi alle volte inusuali e cercare di trovare letture nuove ed originali, insieme a chi per mansione o ruolo ha responsabilità all’interno dell’azienda. Ho la fortuna di collaborare con differenti realtà: brand internazionali dai grandi fatturati e leader nei loro rispettivi segmenti, aziende iconiche il cui nome fa rima con design a livello mondiale e piccolissime aziende artigiane ma dalle grandi potenzialità.
Nonostante siano realtà tanto diverse, per tutte va dedicata la stessa passione, la stessa abnegazione. Ho naturalmente dei temi preferiti anche se alla fine ciò che preferisco è il foglio immacolato dove il primo tratto di matita può diventare qualsiasi cosa, una piccola liturgia infantile che adotto sin da piccolo che mi rende e mi ha sempre reso felice.
Equilibrio rubinetto iconico presentato nel 2016 che chiaramente si rifà ad un concetto morbido ed organico, in contrapposizione con le proposte di linee tese e geometriche
RAK Cloud proposta presentata al Cersaie 2018 con il colosso arabo indiano RAK Ceramics, quarto produttore al mondo nel campo della ceramica. Una proposta completa fatta di sanitari, lavabi specchi e vasca contrassegnata anch’essa da linee morbide e fluide che si inseriscono in un contesto Living
Che direzione sta prendendo il design oggi?
Minimaldecorativopopemozionalesensualesostenibileanalogicodigitale, quindi tutto ed il contrario di tutto. Essendo specchio della società, gode in questo momento di una magnifica opportunità di anarchia e libertà. Viviamo in un momento storico caratterizzato da un melting pot di culture, linguaggi nuovi ed articolati spesso sovrapposti.
La parola stile ha guadagnato un’accezione più sfumata e meno rigida rispetto al passato e di conseguenza la cultura ed il design seguono a ruota tale impostazione. Mi auguro che il design in quanto tale, ovvero espressione del fare umano, ritorni ad una visione in cui l’uomo rimanga figura centrale in una nuova visione rinascimentale ed umanista.
Metropolis, tavoli e consolle in cristallo incollato in abbinamento a top in ceramica, presentata con Tonelli design al salone del Mobile 2017
Posate Arte e posate 70’ per Mepra
Giuseppe Maurizio Scutellà
Nell’immagine di copertina, Lampada Pirce, Artemide