Se tu ha letto tutti Design Haiku e vuole ancora fare designer, forse meglio tu fa vedere da uno bravo. [Odo Fioravanti – Design Haiku n.100]
Verbi usati male, una finta aria da saggio cinese e osservazioni tanto ciniche quanto acute sul mondo del design. Non è esattamente il tipo di prospettiva che ti aspetteresti da un vincitore del Compasso d’Oro. Ma stiamo parlando di Odo Fioravanti, che delle convenzioni non sembra preoccuparsi troppo. Niente riviste patinate per lui, o meglio: come designer di punta del panorama italiano ci finisce, e pure spesso. Ma non è un formato del tutto rappresentativo per lui.
Odo Fioravanti sulla sua sedia Babila.
Breve parentesi monografica: è nato a Roma il 27 maggio e si è diplomato prima in ingegneria e poi in Industrial Design al Politecnico di Milano. Dal 1998, lavora come industrial designer. L’elenco di premi internazionali che ha vinto da allora è quasi imbarazzante da quanto è lungo. Lo stesso per le numerose università in cui insegna: Politecnico di Milano, IUAV di Venezia e NABA, giusto per citarne alcune. (Ah, c’è stata anche una mostra personale in Triennale nel 2010!).
In breve: una carriera che si può decisamente definire di successo. Ma che non sembra averlo minimamente avvicinato all’immagine raffinata di design che sembra dominare il settore. Un’immagine che sfida con le sue riflessioni incensurate su Facebook e Instagram, dove – nei panni di Maestro Yodo – racconta senza peli sulla lingua le difficoltà e le frustrazioni di lavorare nel settore. Ecco le nostre domande a Maestro Yoda e le risposte (censurate il meno possibile) che abbiamo ricevuto.
Design Haiku dall’account Instagram di Odo Fioravanti.
Sei molto critico nei confronti dell’ambiente in cui lavori eppure, nonostante tutto, fai ancora il designer. Cosa ti tiene legato alla professione?
Bella domanda, non so rispondere. Me lo sono chiesto anch’io. Il design è un settore davvero complicato, specialmente da un punto di vista economico e crederci significa andare controcorrente. Per fortuna adesso ho maturato sufficiente indipendenza e anzianità da potermi permettere, tra le altre cose, di mettere in luce i difetti dell’ambiente. E alla fine credo che aver voglia di parlare di questi problemi significa che sotto c’è ancora passione per quello che faccio.
Tazza e zuccheriera del servizio da thè Bliss (Normann Copenhagen, 2017)
I tuoi Design Haiku su Instagram sono un modo molto particolare di raccontare il mondo del design. Ce ne parli?
In realtà è nato tutto per scherzo, da un post ironico su Facebook che ha avuto molto più successo degli oggetti di design che pubblicavo. Fa ridere, perché questa cosa dei social alla fine funziona meglio di tanti lavori realizzati in vent’anni di carriera! Forse perché negli ultimi anni è cambiato molto il culto della persona e in particolare del designer: prima non interessava a nessuno, mentre oggi la gente vuole conoscere la storia e la persona dietro gli oggetti.
Indubbiamente ci sono molte più possibilità a livello comunicativo rispetto a un tempo. La generazione dei maestri doveva fare affidamento a canali come libri, riviste, convegni. Ma pubblicare oggi qualcosa come “scritti di Odo Fioravanti” per condividere i miei pensieri sul design? Sarebbe ridicolo, non lo leggerebbe nessuno! È cambiato tutto e io ho trovato questo nuovo modo di comunicare le mie idee. I post fanno ridere ma non sono superficiali e ironizzano sui vizi e i problemi della disciplina.
Poltrona Babila (Pedrali). Design: Odo Fioravanti. Foto ©Pedrali
Problemi e difetti a parte, qual è la tua idea di buon design?
Il design – per come l’ho studiato io – sono oggetti che servono nella vita di tutti i giorni venduti a un prezzo accessibile. Non cose strane, incomprensibili, costose, riservate a una piccola élite. Bisogna evitare di far passare l’idea che il design sia un lusso per pochi, scomodo e difficile da capire: così si allontanano le persone. Il design è un fenomeno di massa ed è nato come disciplina industriale: per questo si deve lavorare bene con le aziende per poter portare i prodotti alla gente.
I nuovi oggetti dovrebbero portare bellezza e intelligenza nella vita di tutti i giorni. Dove per intelligenza non intendo funzionalità. La funzionalità è un tema sopravvalutato: che un oggetto funzioni è il minimo sindacale (se non funziona lo butti via!). Ma come far funzionare un oggetto in maniera elegante? Come creare un’esperienza d’uso piacevole?
Sedia Cora (Pianca). Design: Odo Fioravanti. Foto ©Pianca
Come designer hai progettato oggetti anche molto diversi tra loro. Da cosa è dipesa questa scelta?
In realtà l’ho fatto capitare ma è la storia di molti designer italiani: da noi c’è una cultura di progetto molto eclettica, mentre all’estero c’è la tendenza alla specializzazione. A me però piace così: mi annoierei a lavorare su un unico tipo di prodotto (e si vedrebbe!).
Inoltre credo che l’innovazione arrivi proprio dal lavorare in diversi ambiti. La legge di Murphy dice “Un esperto è uno di fuori” proprio perché l’innovazione si fa quando si trasportano le cose da un mondo a un altro. Ci sono i designer che si specializzano, ma credo che l’ortodossia crei mostri; mentre l’eterodossia porta freschezza.
Sedia Cavatina (Steelcase). Design: Odo Fioravanti. Foto ©Steelcase
E il design per l’arredamento?
In Italia, spesso design è sinonimo di arredo e quella dell’arredo è un’industria importantissima. Basti pensare che l’oggetto che usiamo più di tutti è il letto! Ma in generale, tutti gli oggetti di una casa sono importantissimi in quanto rappresentativi dello spirto del loro tempo. In passato per esempio ogni re francese aveva il proprio stile.
Per questo è importante continuare a fare design: una sedia progettata oggi dovrà imprimere nell’oggetto lo spirito di oggi, che non è lo stesso per esempio di due o tre anni fa. La funzione degli oggetti di arredo è già risolta da millenni: già nell’antica Roma si sapeva come fare un vaso piuttosto che una sedia. Ma ha senso continuare a reinterpretare questi oggetti secondo la cultura contemporanea così come ha senso continuare a scrivere poesie d’amore.
Poltrona Babila Comfort (Pedrali). Design: Odo Fioravanti. Foto ©Pedrali.
Secondo te che cambiamenti ha portato la pandemia?
In realtà sembra che non sia successo proprio niente: anche dopo la prima ondata siamo rimasti uguali a prima! Dal punto di vista del design, stanno uscendo le prime proposte ma mi sembra tutto troppo simile a prima, come se i giovani designer avessero perso la voglia di mettere davvero in discussione quello che c’era. Ci sono delle proposte cool, ma che non fanno che ribadire il sistema come lo conosciamo già: oggetti già pensati per piacere ai giornalisti e finire sulle riviste.
Quello che invece potrebbe cambiare è il nostro modo di relazionarci alla casa: negli ultimi anni si era vista una forte crescita della ristorazione pubblica, un culto per i locali belli, che ci aveva portato a stare fuori sempre di più.
(Y)odo Fioravanti risponde ai dubbi sul design dopo la pandemia.
Si era perso quel senso della casa tipico della generazione precedente, quando si faceva il mutuo e allora la casa era una cosa bella, da fare vedere agli amici. Non per niente il tipico target delle aziende di arredo è: donna benestante intorno ai 50 anni. Al momento non è ancora cambiato il modo di fare design, ma probabilmente si dovrà cambiare atteggiamento in relazione a questi temi.
Per maggiori info: Odo Fioravanti