di Elisabetta Badiello.
Per quanto altri materiali abbiano tentato di sostituirne purezza e leggerezza, imitandone la moltitudine di forme e colori così come la fragilità che lo rende unico e prezioso, il vetro non ha trovato eguali. Un materiale duttile, malleabile come nessun altro, che la fantasia può plasmare per farne manufatti funzionali ma anche solo per la gioia degli occhi.
Ed è puro gusto estetico, assecondando un gioco allegro e gioioso, ricco di fantasia, quello evocato dagli oggetti visti in mostra.
“Ettore Sottsass: il vetro”. Questo il nome della mostra allestita negli spazi de Le Stanze del Vetro sull’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, che resterà aperta fino al 30 luglio.
Un’esposizione che celebra e racconta la produzione vetraria dell’architetto italiano (a cento anni dalla sua nascita 1917-2017) che ha ridisegnato la vita quotidiana con ironia e imprevedibilità, e il suo rapporto con vetri e cristalli. In tutto 220 pezzi tra cui molti provenienti dalla collezione dell’architetto olandese Mourmans, visibili per la prima volta.
Lontani dall’idea di uso cui si è abituati quando si pensa alla collocazione del vetro in un’abitazione, mai come in questo caso è evidente come la funzionalità si sia arresa a esigenze decorative. Sottsass incontra il vetro per la prima volta nel 1947 dedicandosi poi definitivamente negli anni ’70. Nato come pittore, laureatosi in architettura per compiacere il padre, non si è mai considerato un artista e nemmeno uno scultore anche se le opere che ha realizzato vengono considerate sculture di vetro più che semplici oggetti. Il suo rapporto con questo materiale dura tutta la vita, e Sottsass entra in contatto e collabora con Murano e le sue vetrerie: Vistosi, Toso Vetri d’Arte, Cenedese, Venini solo per citarne alcune.
Un incontro importante quello con la scrittrice Fernanda Pivano che lo introduce ai protagonisti della Beat Generation. Nascono storie e sogni che prendono la forma di oggetti inquieti. Lui è tra i fondatori in Italia del Gruppo Memphis nel 1981, una reazione allo stile minimalista che aveva caratterizzato gli anni ’70 con una forte risposta nei colori accesi e vivaci. Mescola forme e colori che si compenetrano nelle trasparenze del vetro secondo una modalità che si farà consuetudine negli anni ’90. Un semplice assaggio di ciò che ha lasciato, oggetti che oggi si fanno desiderare forse più di allora.
Curatore della mostra Luca Massimo Barbero (nella foto), direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini.